IL NONNO

Punjab (India), 2017

Sdraiato sul letto in posizione supina, si solleva leggermente per appoggiarsi allo schienale quando mi vede entrare. Posiziona con le mani sottili e piene di vene il turbante avvolto in capo.

“Satsriakal beta! Vieni siediti qui..” e mi fa spazio di fianco alle sue gambe coperte da un plaid.

“Allora come va?”

“Bene pappa ji”

Gli osservo le mani, quella pelle scura e trasparente, lunghe dita sottili che lui continua ad aprire e chiudere in dei pugni. “Me l’ha detto il dottore, è l’esercizio fisico per le mani, così non si atrofizzano.”

Ha 85 anni mio nonno, è padre di mio padre. Ha il volto coperto da una barba lunga e bianca, occhi carichi di vita e una bocca che sorride quasi sempre. L’unica cosa non sua sono i denti di quella dentiera. Di quei 85 anni che porta, 14 ne ha vissuti in Pakistan prima della partizione nel 1947, quando quella zona era ancora considerata l’India.

“A 14 anni abbiamo preso sacchi e letti e ci siamo messi in cammino per spostarci dove ci avevano assegnato casa in India. Era lo stato che aveva deciso chi andava a vivere dove” mi disse.

Ha studiato fino alla decima classe, che a quei tempi ti permetteva di ottenere un bel lavoro. Ha lavorato tutta la vita come tube well operator (operatore che sistema i tubi nei pozzi) e quando è andato in pensione ha aperto una scuola a casa sua, che ai tempi era anche casa nostra. Credo di aver studiato nella scuola del nonno per un anno. Credo di aver avuto 5 o 6 anni. Mi piaceva la scuola del nonno, i banchi fuori dalla stanza da letto, una lavagna alla buona con il gesso bianco, lui che insegnava con passione la matematica e altro. In quella scuola/casa all’entrata avevamo delle viti d’uva verde, era un entrata a dir poco affascinante, era talmente bella che mi mangiavo le foglie verdi non ancora mature di quell’uva, un sapore leggermente dolciastro e acido.

Negli ultimi 15 anni ha vissuto negli Stati Uniti il nonno assieme alla nonna. Si sono trasferiti dalla figlia più piccola che ha sposato un indiano emigrato lì da molti anni. Si è modernizzato il nonno. Quando gli parlo dei ragazzi non si scandalizza come si scandalizzerebbero i suoi figli. Nonno è open minded. Ha imparato anche l’americano anche se Ohio lo pronuncia Oyo. È cittadino americano, prende la pensione e si muove con gli autobus per recarsi in gurudwara (tempio sacro dei sikh). Mi ha confessato che da giovane mangiava la carne e beveva alcol che poi ha dovuto smettere per via dei sette figli da mantenere. Ha fatto il rito dell’amrit in gurudwara, secondo il quale ci sono regole e riti ben precisi da rispettare. L’aveva già fatto da giovanissimo ma non è riuscito a resistere alle tentazioni, dopo che l’ultimo dei figli assaggiò il suo bicchiere di whisky e lo sputò e dopo che un amico gli consiglio di preoccuparsi più dei pargoli, decise di smettere per sempre e di ripetere il rito religioso stavolta attenendosi alle regole della religione. Si alza ogni mattina all’alba alle 4 e legge la preghiera mattutina prima di addormentarsi di nuovo e risvegliarsi alle 8. Fa una colazione abbondante e si avvia verso il chakki (mulino indiano) per andare a trovare i suoi amici a fare due chiacchiere.

Nonno ha perso di recente la nonna. Erano tornati in India per gli ultimi mesi di vita della nonna. Parla quasi sempre di lei, hanno vissuto maggior parte della vita insieme, cresciuto sette figli, fatti studiare e sposare. La nonna ha trasformato il nonno in una persona responsabile. Di tutto lo stipendio che guadagnava come tube well operator ne portava la metà a casa perché l’altra metà la spendeva nell’alcol con gli amici. Un giorno nonno tornò a casa e consegnò lo stipendio rimanente alla nonna: 400 rupie. Lei li prese e li buttò in mezzo alla veranda, avvisandolo che erano troppo pochi per mantenere tutti i figli. Nonna era tosta e molto religiosa. Non ho mai conosciuto qualcuno che avesse più fede in dio di lei. Aveva tanta energia la nonna ed era astuta. In quei tempi e in quelle situazioni serviva essere astuti. C’era molta povertà, case indecenti e per sopravvivere bisognava essere scaltri come la nonna. Anche lei aveva vissuto infanzia e adolescenza in Pakistan, allora chiamata India.

La nonna aveva una mucca di nome Rupa, era una bestia dolce dal pellame bianco e macchie marroni. Ho visto una foto di nonna con la mucca, sembrava fosse un membro famigliare.

Non ho parlato né con la nonna né con il nonno da quando si sono trasferiti negli Stati Uniti, probabilmente i bambini non dicono cose molto utili, ed allora ero molto piccola. Ho sentito la voce della nonna dopo 8 anni di assenza, era felice di sentirmi ma mi è dispiaciuto non averla potuta abbracciare per un ultima volta, probabilmente l’ho fatto da bambina e non sapevo che non l’avrei vista mai più, né dove stesse andando.

Nonno è innamorato della nonna, si sono amati e si sono sostenuti per una vita intera. È ammirevole ed esemplare.

“Adesso è il mio turno, sono come un vecchio albero di ber (frutto indiano), prima o poi cadrò a terra!”

“Spero che vivi altri 100 anni nonno” e si mette a ridere.

Lo rivedrò un giorno forse, le distanza sono troppe e la voglia di conoscere di più della sua vita molta.

Nonno ha un volto magro, guance scavate, cammina con il walker (una specie di sostegno solido e frontale con le ruote ) e quell’alta statura gli si incurva leggermente quando lo abbraccio e lo saluto per tornarmene in Italia. Mi dice di non abbracciarlo troppo forte che rischia di cascare. È dolce mio nonno ma non è sempre stato così, da giovane aveva molta rabbia, il gene “rabbia” poi è stato tramandato ad alcuni figli e poi ad altri nipoti. Forse è la vecchiaia che porta quella dolcezza, quell’innocenza, è come se cominciassimo a tornare bambini. L’ho guardato attentamente, gli ho toccato le mani, le spalle, il volto. Erano troppi anni che non lo vedevo e volevo recuperare il tempo perduto in quei pochi giorni. Da piccola lo pregavo di prendermi in braccio e siccome era molto alto vedevo il mondo da una prospettiva diversa, era come stare su una torre.

Abbandonai la mia torre e me ne andai. Il nonno pochi giorni dopo se ne tornò ad Ohio.

Ho incontrato la mia radice nelle radici, il mio patrimonio prezioso che mi ha arricchito il cuore e la memoria. Ritorno a casa inondata di felicità.